Sono sveglio. Non so chi sono, né come sono arrivato qui.
So che le pareti calde e morbide di questa stanza rotonda sembrano respirare. Una serie di corridoi si aprono intorno a me come fauci, ognuno avvolto da una penombra inquieta. L’unica luce è quella di sottili lame luminose che tagliano come rasoi la polvere sospesa in aria.
Devo muovermi. Le gambe tremano. Il pavimento pulsa. Non è una metafora: qualcosa sotto la superficie sembra vivo. Ogni tanto sento un battito lontano, sordo, come se il questo posto avesse un cuore.
Uno dei corridoi emette un suono. Un respiro? Una chiamata? Un avvertimento?
Comincio a camminare. Ogni passo rimbomba come amplificato da un'eco distorta. Il corridoio si stringe, si allunga, cambia forma. Il tempo si sfilaccia.
Mi volto di scatto: ho la sensazione di non essere solo. Sagome biomeccaniche adornano dalle pareti, fuse, come se fossero cresciute lì. Alcune si muovono, lentamente, al ritmo del battito.
So solo una cosa.
Devo uscire di qui.
Da stampare, incorniciare, colorare.